La torta degli appalti era spartita tra tecnici, imprenditori e politici. Il sistema era ben collaudato. Tutto era studiato al millimetro. Ma ad un certo punto qualcuno ha parlato, qualche altro ha chiesto di fare parte del “gioco”. Dalle denunce di due coraggiosi funzionari è scattata così l’inchiesta sugli appalti alla provincia di Benevento, che ha portato all’arresto di otto persone, con in testa il presidente Antonio Di Maria. Una bufera giudiziaria e politica alla vigilia delle elezioni del consiglio provinciale fissate per il prossimo 18 dicembre.Un’indagine a largo raggio, durata due anni, che coinvolge anche la provincia di Caserta, condotta dai carabinieri, che hanno passato al setaccio oltre 400 mila eventi, tra registrazioni telefoniche, ambientali, accertamenti bancari, che hanno permesso di verificare l’avvenuto pagamento delle tangenti.
“Le trattative -ha rilevato il comandante Germano Passafiume- avvenivano in alcuni studi tecnici, che abbiamo monitorato per lungo tempo. Qui gli indagati adottavano molte cautele. Si salutavano con modi arcaici, con gesti, ammiccamenti, strette di mano. Quando si incontravano, decidevano di uscire uno alla volta. C’è un caso clamoroso. Per i lavori relativi alla discarica in località Cerreto di Buonalbergo per un importo di un milione e 100 mila euro venne chiesta una tangente di 20 mila euro all’imprenditore beneventano, addirittura sei mesi prima della pubblicazione della gara”.
L’inchiesta ha portato a galla il preponderante ruolo dei tecnici, addetti agli appalti e alle nomine, capitanati, a quanto risulta dalle indagini, dal potente e intraprendente Michelantonio Panarese, funzionario della provincia e sindaco di Buonalbergo, arrestato anche per corruzione. Dalle intercettazioni emerge che ad un certo punto il presidente Di Maria, ai domiciliari con l’accusa di turbativa d’asta e tentata induzione indebita, manifesta il suo disappunto per come si gestiscono le cose. Quindi cerca di ripristinare il suo controllo.Ci riuscirà, diventando un tassello cardine del potere mastelliano nel Sannio. Per dimostrare il suo attaccamento al capo organizza finanche una lista per la riconferma di Clemente Mastella a sindaco di Benevento, che sarà decisiva per la sua vittoria.
“Abbiamo monitorato 23 appalti -spiega il comandante Alfredo Zerella- ed in particolare i 9 gestiti dalla provincia e relativi alle scuole. Per l’Istituto "Livatino" di Circello per un importo di 998 mila euro, il presidente fornisce il nome della ditta che dovrà indicare l’impresa vincitrice. Un gioco ad incastro per depistare. Uno spartiacque importante si verifica quando Di Maria si lamenta del fatto che sette gare per le scuole sono risultate appannaggio della parte tecnica e solo due della parte politica. Qui nasce il conflitto. Il presidente minaccia di bloccare tutto per cercare il giusto punto di equilibrio”.
Per mettere a tacere i funzionari più “resistenti” partivano pressioni e tentativi di corruzione. Una dipendente della provincia trova un giorno sul suo tavolo una cartellina con mille euro dentro, lasciata lì da un suo diretto superiore, responsabile di una commissione per gli appalti. Ma la donna ingegnere non ci sta e va denunciare tutto alla caserma dei carabinieri. Spinta forse anche dall’esempio dell’ex segretario e direttore generale della provincia, Franco Nardone, artefice delle prime segnalazioni sulle presunte illegalità dell’amministrazione provinciale, ora parte integrante dell’attuale inchiesta.
Il contrasto col presidente avvenne, tra l’altro, sulla nomina di Angelo Carmine Giordano, finito anch’egli agli arresti domiciliari. All’ingegnere di Solopaca fu affidato l’incarico di Dirigente ai Lavori Pubblici, pur non avendo un alto punteggio di laurea e non avendo svolto mai quella funzione. Oltre a questi aspetti, Nardone aveva fatto presente che Giordano risultava rinviato a giudizio come capo dell’ufficio tecnico del comune di Fragneto Monforte per falso ed abuso d’ufficio e che era indagato dalla Dda di Napoli per turbativa d’asta. Ma Di Maria decise di fargli gestire lo stesso i lavori pubblici.
L’ex segretario della provincia fu rimosso dall’incarico anche per aver contrastato la nomina di Nicola Boccalone a direttore generale, che poi è stata bloccata dall’Anac, per incompatibilità . Ad aprile scorso, in un nostro articolo, pubblicato su "Altrabenevento" e "La Voce delle Voci", Nardone denunciò la presenza alla provincia di “un sistema di clientele e di affarismo”.
“Dobbiamo ringraziare -ha osservato Zerella- i funzionari della provincia per il loro coraggio, grazie alle loro denunce siamo arrivati ai risultati di oggi. L’inchiesta non è chiusa, siamo ancora in fase cautelare, potranno esserci novità”. Sulla stessa scia il Gip Loredana Camerlengo. “Le indagini -scrive nell’ordinanza- sono state avviate grazie a persone oneste e corrette, anche perché in alcuni contesti operativi, quali per eccellenza gli Enti pubblici, appare più difficile eliminare l’idea che il bene comune non debba essere sfruttato per un “vantaggio personale”.
Con Di Maria, Panarese e Giordano sono finiti agli arresti domiciliari anche Mario Del Mese di Salerno, l’uomo dei rapporti con la regione, gli imprenditori Giuseppe Della Pietra di Nola e Raffaele Pezzella di Casal di Principe, Nicola Laudato di Campolattaro e il beneventano Antonello Scocca, un progettista già coinvolto in altre inchieste. Dieci, invece, gli indagati tra imprenditori e tecnici, ai quali è stato imposto il divieto temporanero di contrattare con la Pubblica Ammnistrazione. Si tratta di Pietro Antonio Barone, Carlo Camilleri, Nicola Camilleri, Gaetano Ciccarelli, Franco Coluccio, Antonio Fiengo, Antonio Iannotti, Sabino Petrella, Gianvincenzo Petriella e Antonio Sateriale.
Gli appalti più consistenti, osservati dalla magistratura, riguardano lavori per la messa in sicurezza della Direttrice Caserta-Monti del Matese,(un intervento da 8 milioni di euro e 394 mila di progettazione), per la Strada Provinciale Montefalcone Valfortore per oltre 4 milioni e 600 mila euro, per la frana presso l’ex ristorante “La Roccia delle Rose” a San Leucio del Sannio, per 365 mila euro, la costruzione di un nuovo edificio scolastico a Sant’Agata dei Goti per oltre 200 mila euro, la sistemazione di due torrenti a Guardia Sanframondi ed altre arterie stradali provinciali.
Qualche interrogativo spunta sulla tempistica. Le richieste del Gip risalirebbero al febbraio 2021, quando formalmente è terminata l’inchiesta. Come mai si è atteso tanto per gli arresti? “Si tratta -ha concluso il procuratore Aldo Policastro- di opere che complessivamente ammontano a 58 milioni di euro. Tra queste ne abbiamo trovate 11 con gravità indiziaria. Le somme pagate per tangenti si aggirano sui 100 mila euro. Quello che è venuto alla luce è un rapporto insano tra tecnici, imprenditori e politica, che, non pensa di stroncare operazioni astute e scaltre, ma chiede di partecipare al “tavolo”, tanto che un tecnico afferma nelle intercettazioni che un‘impresa è la cassaforte di un politico”.
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