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Dante e le parole, i giovani e i social, Papa Francesco e Totò - Serianni:"Per la Divina Commedia coinvolgere insegnanti e studenti"
 

mar 07-12-2021 19:34 n.119, a.e.

Dante e le parole, i giovani e i social, Papa Francesco e Totò

Serianni:"Per la Divina Commedia coinvolgere insegnanti e studenti"


Dante, i giovani, i social, il linguaggio contemporaneo e Papa Francesco. Quanto è ancora opportuno studiare la “Divina Commedia” ?  Chi non ha mai detto “non ti curar di lor, ma guarda e passa”, oppure “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”? Il viaggio nell’aldilà ha sempre solleticato le nostre fantasie, tra paure e desiderati approdi felici, tra speranze di grazie e perdoni di eventuali peccati.

Le parole di Dante affiorano qui e là nel nostro linguaggio quotidiano. A 700 anni dalla morte del Sommo Poeta tanti fili sottili ci legano al suo mondo, tante ardite e dolci metafore dantesche accompagnano la nostra vita. Personaggi ed episodi della “Divina Commedia” spuntano nel nostro immaginario, ricordandoci gli anni della scuola, come alunni o docenti. Dalla lingua il discorso si allarga alla visione del mondo e della società, alla comunicazione al tempo dei social, alla lotta tra il bene e i male, al destino dell’uomo.

Per aiutarci a comprendere le tracce della sua modernità, ci viene incontro Luca Serianni, col libro “Parola di Dante”, edito da “Il Mulino”, presentato presso l’Università del Sannio, per iniziativa della Società Dante Alighieri, sezione di Benevento. L’illustre linguista e professore emerito di Letteratura Italiana alla Sapienza di Roma ha passato in rassegna i vari aspetti del poeta fiorentino su piano linguistico, storico e politico, stimolato dalle relazioni introduttive di Maria Cristina Ruggiero e Cristina Ciancio. Il dibattito, moderato da Maria Felicia Crisci, è stato arricchito dalle domande di un pubblico attento.  

Per dimostrare la presenza di Dante, il professore ha preso spunto da un’intervista rilasciata dal ministro Renato Brunetta al Corriere della Sera di due giorni fa, quando afferma che i no vax corrono il rischio di “essere inseguiti dal vituperio delle genti”. “Questa espressione -ha ricordato Serianni- la troviamo nell’invettiva contro Pisa. La diffusione del poema è talmente forte che molti imparavano a memoria diverse cantiche. Sappiamo che della “Divina Commedia” non ci ha lasciato neanche una riga scritta, ma sono emersi tanti manoscritti copiati da altri, tra cui Giovanni Boccaccio. La presenza di poeti e prosatori che si sono rifatti a lui è piuttosto modesta. Ci ha lasciato 500 similitudini e tante parole nuove”.

Tra i termini coniati e presenti nel poema sono stati citati “mensola”, ”muffa”, “collega”, “belpaese”, “antelucano” e “quisquiglia”, cioè bazzecola, sciocchezza. “Quest’ultima parola –ha fatto notare Serianni- è stata rinnovata con intenzione scherzosa da Totò, che ha avuto un’importanza abbastanza notevole nella lingua, come ha sottolineato non a caso un grandissimo linguista come Tullio De Mauro, non solo per la fortuna dei suoi film e la sua appartenenza all’ambito napoletano, ma perché recitava in un italiano colto,  giocando e ironizzando su quello più difficile e più aulico”.

Il mondo di Dante è lontano, ma il suo insegnamento morale ed umano resta. Il suo patrimonio linguistico è immenso, anche per quanto riguarda i dialoghi. Come bisogna valutare le modalità di comunicare in voga tra i giovani d’oggi? “I messaggini che si mandano -rileva Serianni- hanno piuttosto una funzione parassitaria, non esprimono certo un pensiero complesso. Ma non demonizzerei questo modo di parlarsi. L’aspetto che ritengo assolutamente negativo è il fatto che si perde troppo tempo a smanettare sullo smartphone, rispetto ad altre attività, che non sono solo la lettura, lo studio, ma anche la semplice condivisione della socialità. Dante non avrebbe apprezzato questo linguaggio così futile, così elementare, anche se è molto attento ai meccanismi di dialogo, come vediamo nel canto di Farinata, quando Virgilio lo invita a voltarsi”.

Il professore ha ribadito la sua contrarietà all’abolizione delle prove scritte di italiano agli esami di maturità e sull’utilità dello studio di Dante ha consigliato di seguire una programmazione adeguata al contesto. “Il contatto con Dante -ha sottolineato- è certamente molto utile, non solo per i licei, ma anche per i tecnici e i professionali, che rappresentano il nerbo della nostra scuola, essendo frequentati da quasi il 50 per cento dei nostri ragazzi. Per quanto riguarda la scuola media dipende esclusivamente dall’insegnante, dalla sua sensibilità  nello scegliere episodi più adatti dell’Inferno o del Purgatorio, non certo del Paradiso. Non si tratta di coinvolgere solo gli studenti, ma anche gli insegnanti, perché l’insegnamento funziona se entrambi ci credono e si divertono, sono due facce della stessa medaglia che è difficile separare”.

Il giudizio di Dante sulla chiesa si manifesta attraverso le critiche rivolte ai papi, molti dei quali vengono collocati nell’Inferno. Come, invece, avrebbe accolto Papa Francesco? Avrebbe condiviso i suoi messaggi e lo avrebbe messo in Paradiso? “Non saprei rispondere -ha concluso Serianni- quello, però, che posso dire è che Dante, da cristiano profondo, non fa nessuno sconto agli uomini di chiesa corrotti, in particolare a quelli che cedono al potere e al denaro. Visto che il nostro papa parla spesso contro il culto del denaro e del potere, questo lo avrebbe reso sicuramente simpatico a Dante. Ricordo, infine, che il poeta nella Divina Commedia ne salva solo due, Martino V e Adriano IV, che mette nel Purgatorio”.

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