Quella foto scattata alla Stazione Centrale di Benevento, che coglie tante persone in partenza per fare ritorno nei luoghi dove hanno trovato lavoro, ha suscitato un intenso dibattito sulle condizioni di Benevento e del Sud. Non è una scena nuova, ma quell’immagine che ritrae tanta gente insieme in attesa di prendere il treno per Roma, Firenze, Bologna, Milano e Torino, ha fatto nascere tanti pensieri e riflessioni sulle sorti dei nostri giovani, con una domanda di fondo: “E’ possibile costruire un futuro diverso per queste terre?”.
Lo scatto, diffuso da Antonella Pepe, è stato fatto per caso da un suo amico. E’ il 2 gennaio scorso, siamo al binario 3, per il treno Italo delle 9,30 circa. Nell’aria ancora nebbiosa si stagliano tanti viaggiatori infreddoliti, accompagnati dai loro borsoni, trolley e zainetti, avvolti nei loro giubbini, che si apprestano a salutare genitori, fratelli, fidanzati. Sono finite le vacanze natalizie. Sono distacchi e separazioni che si ripetono da anni, eppure quella foto ha avuto un forte impatto emotivo, provocando centinaia di commenti e condivisioni spontanei, per testimoniare un sentimento di sgomento, vicinanza e anche di ribellione.
“Il mio è stato uno sfogo -spiega Pepe- ho pensato di pubblicarla come simbolo dell’abbandono, dell’esodo, dei sogni interrotti, che colpiscono tanti giovani del sud. Non pensavo suscitasse tanto interesse. Di fronte a questo dramma, è facile cadere nella retorica. I giovani potranno restare solo se rendiamo il nostro territorio più vivo e dinamico, con i servizi essenziali e con le giuste opportunità. Serve una svolta nel modo di affrontare la questione dello sviluppo delle aree interne. La favola dei borghi tranquilli non regge. Non possiamo fare tutti gli agricoltori e la stessa agricoltura va fatta in chiave più moderna e redditizia”.
La spinta ad andare via nasce dal desiderio di vedere riconosciute le proprie competenze e professionalità. “La maggior parte -commenta Gianni Tavino- è emigrata per cercare di dare dignità ed avvenire alla propria vita”. “Qui si combatte contro i mulini a vento -aggiunge Maria Grazia Rillo- quasi sempre si riesce ad avere lavoro solo se si hanno agganci politici. Ho visto assunzioni al comune, alla regione, nei vigili urbani. Mi fa piacere che continuate a credere di poter cambiare. Vi invidio. Il mio cuore si è svuotato di quegli ideali”.
L’analisi della situazione è contrassegnata da forti tinte pessimistiche. Molti ricordano le occasioni sprecate e le tante promesse della politica. “Benevento è oggi una città di emigranti -sottolinea Luca Nicolella- non offre nulla ai giovani. Qui resta chi ha il posto fisso. Siamo soffocati da una politica clientelare. Chi vuole cambiare è andato via”. “Non possiamo aspettarci -fa notare Christian Schipani- che si impegni solo chi sta nella stanza dei bottoni. Molto dipende da ogni singolo cittadino. Combattiamo la pigrizia e non molliamo”.
La scena della partenza ricorda a Gino Porcelli il cosiddetto “treno do sole” degli anni ottanta per la Svizzera o il Nord, mentre a Laura Forgione porta un senso di smarrimento. “Ogni volta che me ne vado -scrive- il cuore si trappa, il prezzo da pagare per un lavoro definitivo è troppo duro”. Molti non ritengono giusto che i giovani beneventani siano costretti a spendere altrove la loro preparazione, ma spesso non c’è alternativa. “Perché dovrebbero accontentarsi -si chiede Antonella Zollo- di lavori sottopagati e di una vita limitata e limitante? I mali della nostra città sono la mediocrità e il familismo”.
Tutti sono concordi nel pensare che l’andar via dovrebbe essere una libera scelta e non una costrizione. Tutte le osservazioni comunque confluiscono nell’accusa serrata alla classe politica. “Quarant’anni di centro, destra e sinistra -denuncia Angelo Mancini- ci hanno dato una classe dirigente assolutamente incapace, al potere per il potere, impreparata e senza visione”. “Questa foto deve far riflettere molto-evidenzia Mimma Izzo- tra quei passeggeri ci sono i miei due figli, che vivono a Roma e Bologna. Fa male al cuore. I politici locali si riempiono la bocca di belle parole senza fare nulla per il sud”.
Qualcuno posta la poesia di Franco Arminio, “Tornate al sud”, che recita, tra l’altro, così : “L’emigrazione è un furto e i popoli costretti ad emigrare sono popoli derubati. Bisogna dirlo forte e chiaro ai ragazzi meridionali: tornate qui e buttate dalle scale i sindaci addormentati”. Il lavoro da fare per una svolta ed un riscatto è ancora molto. Una buona occasione potrà essere il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
“Potremmo dire che questo è l’ultimo treno -conclude Pepe- se sapremo sfruttare le ingenti risorse previste per colmare il divario ancora forte tra nord e sud. Dobbiamo rendere il Sannio più attrattivo, digitale e sostenibile, dove i giovani si trovino bene a lavorare e a vivere. Non è il momento di tirare i remi in barca. Il futuro di questa terra è dentro questo tempo”.
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