Lo spettacolo racconta il faticoso cammino degli omosessuali per uscire dal buio delle oppressioni e delle discriminazioni. Il passaggio dalla parola frocio a gay, la lunga lotta contro i muri del pregiudizio. Quando arriva sulla scena, il protagonista Lorenzo Balducci avverte subito il pubblico che sarà uno show “stronzo e cattivello”. Ma “Allegro, non troppo” è anche tosto e graffiante, spregiudicato e dirompente, sarcastico e dolente, scoppiettante e coinvolgente. Una partenza significativa per la rassegna teatrale organizzata dalla Solot di Benevento al Mulino Pacifico.
Il monologo è intervallato da contorsioni danzanti e ritmi pop, da immagini di personaggi alle prese con una strisciante omofobia. L’attore romano scherza sul variegato mondo sessuale, tra gli etero e i bisex, tra i passivi e i superdotati, gli intersex e gli indecisi, parla di amici come Enzo e Alex, dei tanti episodi tristi in cui un gay è costretto a nascondere la propria identità, considerato infelice perché non può farsi una famiglia, denuncia con forza il “barbaro assassinio” del DDL Zan contro l’omofobia da parte del parlamento.
Per ricordare questa bocciatura, Balducci incalza, “metterei un razzo nel culo di Renzi e lo manderei nello spazio una volta per tutte”. Ricorda quella volta che Renato Zero fece il finto gay per sfuggire al servizio militare, i tanti perbenisti che dicono di non essere razzisti, ma poi accettano con difficoltà la presenza di un omosessuale. Passa in rassegna momenti di astio e di odio verso i "diversi" con amara ironia. Sottolinea le parole di Furio che commenta il Gay Pride di Roma, “basta che non vengono a rompere le scatole a me”. “Ci dipingono, insomma -rileva Balducci- come frotte di cavallette inchiappettanti”.
Gli omosessuali danno fastidio da sempre anche in ambienti insospettabili. L’attore ripesca un‘intervista a Domenico Modugno in cui il cantante dichiara che “il frociaccio non deve esibire il suo ricchionismo”, tratteggia la vicenda dello scrittore Thomas Mann, padre di sei figli, che andava coi ragazzi e non accettava però che un suo figlio fosse gay e che per questo si suicidò. Accanto ai tanti disprezzi subiti spicca il coraggio di quelli che si sono battuti per i diritti dei gay, a cominciare da Mario Mieli, fondatore del Fuori. Lo spettacolo, diretto da Mariani Lamberti e scritto con Riccardo Pechini, è dedicato ad Orlando Merenda, un ragazzo di 18 anni, morto recentemente suicida per gli insulti omofobi.
La performance sferra in certi momenti un pugno nello stomaco, svela sofferenze inaspettate del mondo LGTB. “Quanti risolini- conclude l’attore- alle nostre sfilate, considerate da tanti carnevalate. Invece abbiamo il diritto di essere maleducati, chiassosi, spudorati, di mostrare i nostri colori, perché lo “sculettamento” non provoca femminicidi, un uomo con la parrucca non sconvolge come un marito violento, le tante santificate famiglie tradizionali hanno fatto più morti di mafia, ‘ndrangheta e camorra messe insieme. Dopo aver sputato tanto sangue, i gay hanno il diritto di essere allegri e felici”.
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