Dal profondo un messaggio al mondo. Un grido disperato, soffocato dalle onde. Una protesta contro il capitalismo, lo sfruttamento, le ingiustizie, l’indifferenza, perché “le illegalità, le violenze, i barconi, le migrazioni sono tutte cose ancora in funzione”. Ed una preghiera accorata al "Signor Capo dello Stato Italiano e al Signor Capo dello Stato d’Africa", perché pongano fine ai frequenti naufragi delle carrette del mare e preparino piani di trasporto e di accoglienza più agevoli e possibilmente più umani.
La protagonista del dramma “Lampedusa Beach”, andato in scena al Mulino Pacifico di Benevento, è una donna africana di nome Shauba, che racconta il suo sogno infranto, sommersa dall’acqua, mentre sta per annegare, come hanno già fatto i suoi 700 compagni di viaggio. La scena ha pareti azzurre come il mare. L’attrice Valentina Elia interpreta le domande e i tormenti della ragazza con plasticità fisica intensa, muovendosi tra i pesci, le alghe e tutti gli animali marini. La musica è vibrante come le sue parole.
Shauba si chiede perché si permette agli scafisti, alla malavita, di vendere questi viaggi, di fare soldi sulla pelle di tanti disperati. Davanti ai suoi occhi scorre la sorte capitata ad altre. ”Il mare è innocente -afferma la donna- forse la colpa è del capitalismo. Siamo come una collana di perle spezzate, ci sfiliamo ad una ad una. Qualcuna finisce in buone mani, qualcuna si perde, qualcuna arriva a destinazione, qualcuna annega e tutto finisce qui. Sto marcendo come una foglia, il mio cuore galleggia come una barchetta”.
Il dolore, il sangue, la morte si colorano di lampi di poeticità e dolcezza. Improvvisamente sulla testa della ragazza compare la luna piena, Lampedusa sembra vicina, quel nuovo mondo tanto desiderato, quello dei ricchi è sempre più a portata di mano. Se qualcuno ascoltasse la sua voce. Ma l’acqua è più forte, trascina a fondo. L'affannoso dimenarsi di Shauba è sottolineato dai versi lancinanti della canzone di Domenico Mudugno, “Lu pesce spada”, lì dove dice “scappa, scappa, amici miu, ca sinnò t'accidinu!
Il testo porta la firma della scrittrice siciliana Lina Prosa, mentre la regia è di Marcello Manzella. Pregevoli le musiche originali di Antonio Della Ragione. Lo spettacolo è prodotto da “I due della città del sole”. Quando vede che la sua sorte è segnata, Shauba si rivolge ai capi di stato e spera che sua zia Mahama, che l’aveva incoraggiata ad andare a Lampedusa, ritroverà il suo corpo. “Io sono un fenomeno sociale -conclude con amara ironia- un giorno la marina militare italiana raccoglierà i miei occhiali e la mia ciotola di cocco, perché bisogna almeno conservare le tracce di gente "fuorilegge" come me”.
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