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Pasolini e la politica, la solitudine e la ricerca di un'umanità nuova - Conte: "Le sue provocazioni sono invocazioni a non omologarci"
 

gio 24-03-2022 11:57 n.156, a.e.

Pasolini e la politica, la solitudine e la ricerca di un'umanità nuova

Conte: "Le sue provocazioni sono invocazioni a non omologarci"


“Le provocazioni di Pasolini sono come invocazioni. Il grande poeta invoca il popolo delle campagne, il popolo del Friuli, il popolo del Sannio, per una rivoluzione delle masse, contro il neocapitalismo alienante e mercificante, che si stava impadronendo delle coscienze. Nella sua disperata solitudine cercava i luoghi, i soggetti, le forze di una possibile costruzione umana. La sua opera oggi ci parla della necessità di non fermarci, di non cedere, di non omologarci all’abitudine, ad esempio, alla normalità della guerra”.

La riflessione di Antonio Conte sull’eredità di Pier Paolo Pasolini a 100 anni dalla nascita affronta il rapporto appassionato e conflittuale dello scrittore con la politica. Nell’incontro organizzato dall’Anpi di Benevento, non a caso intitolato “Un pensiero corsaro”, emergono le visioni e gli ideali, le intuizioni profetiche e le contraddizioni della sua personalità complessa e tormentata.  La sua ricerca di un mondo perduto, fermata nella notte del 2 novembre del 1975, continua a parlarci, anche sulla questione ambientale e morale.

“Il dialogo con Pasolini -sottolinea Conte- è aperto. Il suo orizzonte ideale verso una trasformazione non industrialista, per una prospettiva di salvezza, un approdo possibile, ci interroga ancora. Con la poesia, i romanzi e il cinema. E’ stato eccessivo in tutto, nel suo vivere, nelle sue serate passate a cercare altri corpi, nelle realtà in cui il corpo diventava merce. Sapeva che era eccessiva questa sua modalità di esistenza, ma esprimeva quel bisogno profondo di costruire una dimensione più ricca, più piena, un’armonia”.

Nell’opera di Pasolini affiorano con forza i valori della Resistenza, ritorna l’immagine delle Belle Bandiere, che oggi non sventolano più, ma che prefiguravano un’umanità nuova. Da giovane aderì al Partito Comunista Italiano, diventando segretario della sezione di Casarsa, ma poi fu espulso per la sua omosessualità. Il suo rapporto di amore-odio col partito continuò, non essendo mai un intellettuale organico. Dal “Corriere della Sera” a “Il Mondo”, dai settimanali “ Tempo” e “Vie Nuove”, le sue critiche contro il potere furono aspre e pungenti, come i suoi consigli liberi, spregiudicati e graffianti.

“Quando a metà degli anni settanta -ricorda Conte- il Pci sta crescendo in maniera importante, Pasolini avverte tutti i rischi di una omologazione, perché si sta avvicinando al potere, che per lui è come una piovra che può stritolare. Allora vede la possibilità di una rinascita umana nei giovani comunisti, gli unici verso i quali si poteva fare affidamento per il loro entusiasmo, la loro passione, la bellezza culturale e politica. Va alle Feste de L’Unità, discute con essi e li invita ad impegnarsi per un progresso non economico, alienante, mercificante, edonista, ma soprattutto umano, che recuperi il valore della vita”.

Nell’analisi di Conte spicca la sferzante critica ai sessantottini,  che Pasolini considera strumenti nelle mani della borghesia e funzionali al capitalismo. Il suo pensiero è esplicitato con irruenza nella poesia  “Il Pci ai giovani”, nella quale sprona il movimento a non fare solo manifestazioni, ma ad impadronirsi degli strumenti  della politica.  “Andate ad assalire Federazioni - scrive il poeta- ad invadere Cellule, ad occupare gli usci del Comitato Centrale, andate ad accamparvi in Via delle Botteghe Oscure”.

“Io e gli altri del ’68 -conclude Conte- non fummo affatto entusiasti della sortita pasoliniana, però capimmo poi nella prassi, nel lavoro politico, nel tormento individuale, ci mettemmo anche anni, ma entrammo nel Pci, ci impadronimmo delle direzioni provinciali, dei nostri comitati centrali. Il mio omaggio critico a Pasolini, voglio coniugarlo con quello ai braccianti del Fortore, che mi convinsero a fare quel passo, invitandoci a laurearci, ad avere un ruolo nella società, per dare una mano incisiva alle loro lotte. Quei braccianti del Sannio e di Montefalcone Valfortore, in gran parte analfabeti, mi diedero fisicamente il senso concreto di quello che aveva detto Pasolini nella poesia”.

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