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La storia di Franco Pepe tra la margherita e la "crisommola" - "Qui avete il dinosauro Ciro, che dovreste far conoscere meglio"
 

mer 13-04-2022 21:19 n.165, a.e.

La storia di Franco Pepe tra la margherita e la "crisommola"

"Qui avete il dinosauro Ciro, che dovreste far conoscere meglio"


“Quando ho cominciato,10 anni fa, molti mi dicevano che ero un folle, ma io sentivo il mio percorso, avevo solo delle idee. Dovevo trovare il modo di metterle in pratica. Avevo ciò che mio padre mi aveva insegnato. Ma in quel momento il mio territorio soffriva per la triste nomea di Terra dei fuochi. Volevo ridare dignità a tanti contadini che avevo conosciuto. A Caiazzo, il mio paese, il centro storico stava morendo. Volevo valorizzarlo. Per questo ho scelto un rudere del settecento. Il finanziatore che si era fatto avanti scappò, lasciandomi solo. Sono partito con sette ragazzi ed oggi quelli assunti sono 43. Il sogno si è realizzato”.

Con orgoglio ed emozione, il pizzaiolo casertano Franco Pepe, 58 anni, racconta la storia del suo successo italiano e internazionale, chiudendo in bellezza gli incontri culturali della  rassegna “Ci vediamo al San Felice”, promossa dalla Cna Pensionati e dalla Sovrintendenza. Il progetto di Pepe ha radici antiche. Il nonno Francesco era panificatore già sotto il fascismo, con licenza ricevuta dal podestà. La sua attività non si fermò neanche durante la seconda guerra mondiale.

“Mi raccontava -ricorda Franco- che dava un pezzetto di pane di 150 grammi alle persone che avevano la tessera. Con mio padre Stefano siamo passati dal pane alla pizza. Per la mia famiglia la pizzeria è diventata casa. Con la scomparsa di papà mi sono trovato davanti ad un bivio: chiudere o continuare? Sono laureato in Scienze Motorie ed allora stavo insegnando su sostegno a Piedimonte Matese. Ho fatto subito la mia scelta. Mi sono depennato dalle graduatorie. Avevo intuito che c’era grande attenzione sulla pizza”.

Il suo binomio vincente si può racchiudere in due parole: artigianalità e qualità. Il locale che gestisce si chiama “Pepe in Grani” ed è stato premiato dalle più prestigiose riviste gastronomiche ed in particolare dal Gambero Rosso. “Prima della pandemia -continua Franco- portavamo fino a 14 mila persone al mese nel vicolo del centro storico. Ho detto no alle grandi piazze. Non sono né a Roma né a Milano. Porterò avanti solo progetti che hanno un’anima. Come la filiale aperta a Erbusco, in provincia di Brescia”.

I primi a scrivere di lui sono stati Manuela Piancastelli e Luigi Veronelli. “La pizza deve essere sana –fa notare Franco-  e può essere abbinata anche con un buon vino. All'inizio mi sono dedicato anche all'alimentazione sportiva. Oggi collaboro con l’Università di Napoli e di Brescia e con l’Airc, che si occupa di ricerca sul cancro. Nel mio locale c’è un angolo per ascoltare e riflettere. Abbiamo creato i “tavoli del silenzio” per otto posti, dove io vado a raccontare la mia storia. Ci sono sere in estate in cui riusciamo a fare anche mille pizze. Contano il marchio ed il marketing. Qui a Benevento, ad esempio, in questo bel posto, avete il dinosauro Ciro, dovreste avere la fila”.

La conversazione con la star della pizza è stata animata da Domenica Di Sorbo, ex dirigente scolastica, che lo conosce da tempo ed ha visto nascere il suo progetto. “Quando ascolto le sue storie -osserva Di Sorbo- mi vengono i brividi. Sono orgogliosa. Queste competenze dovrebbero formarsi a scuola. Lui ha guardato, ha ascoltato e poi ha realizzato”. L’importanza degli antichi mestieri, dell’agroalimentare e dell’artigianato è stata sottolineata da Anna Rita De Blasio, direttore della Cna, mentre Giulio De Cunto ha messo in risalto la “cultura del fare”, proprio quella dimostrata dai ragazzi del Liceo Musicale di Cerreto Sannita e dell’Istituto Alberghiero di Faicchio-Castelvenere, che hanno accompagnato e colorato la serata con la musica e l'enogastronomia.

Le parole di Franco sono rivolte ai ragazzi, che dovrebbero essere aiutati ad acquisire le competenze giuste.  “Siamo in grande difficoltà -rileva- nel reperire il  personale. Spesso non sappiamo dove attingere le nuove leve. Per questo è importante il riconoscimento professionale. A me piacciono le sfide. Ho trasformato contadini in aziende agricole. Nel mio team ognuno ha un ruolo. I ragazzi sono tornati a coltivare il pomodoro riccio, riprendendo un seme dell’800.Una volta mi capitò di fare la “margherita sbagliata”, che nel 2017 fu proclamata pizza dell’anno, finendo sulla copertina di un’importante rivista”.

La fama lo ha portato al Louvre di Parigi, a Palazzo Pitti di Firenze per il marchio Kiton, a Madrid. La sua storia sarà raccontata su Netflix nella prossima estate. Si parlerà anche della sua ultima invenzione: la pizza “Crisommola”. Com'è nata? “I clienti dei paesi vesuviani -spiega Franco- mi portavano cassette di albicocche, che ormai non raccoglievano più. Andai a Somma Vesuviana, parlai col sindaco, riunimmo i produttori, promisi che le avrei utilizzate per una nuova pizza. Ci sono riuscito. Sono stato premiato dal Gambero Rosso. Da Hong Kong sono venuti a comprare le albicocche e così mi sono guadagnato la cittadinanza onoraria di Somma Vesuviana”.

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