Pier Paolo Pasolini e Benevento. Un rapporto tormentato e nello stesso tempo liberatorio. Qui, infatti, il regista fu processato e assolto per il film “I Racconti di Canterbury”, proiettato in anteprima nazionale nel Teatro Comunale del capoluogo sannita. Era il 2 settembre del 1972.Un cittadino napoletano presentò una denuncia per oscenità. Scattò subito il sequestro ed il successivo processo si svolse presso il Tribunale di Benevento. La città fu per giorni sotto i riflettori nazionali, anche per l’importante sentenza di assoluzione.
Quei momenti significativi e memorabili sono stati rievocati nel salone di Palazzo Paolo V dal magistrato Simonetta Rotili, dal saggista Alessandro Viola e dallo storico dell’arte, Francesco Morante, coordinati da Tullia Bartolini e introdotti da Stefania Pavone, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Il "Processo Pasolini” è stato abbinato felicemente alla mostra di Alessandro Rillo, intitolata, non a caso, “Introspezioni”.
L'incontro è cominciato con un video sulla storia del film, sulle tappe del processo, sulla sentenza emessa dai giudici beneventani Daniele Cusani, Alfonso Bosco e Bruno Rotili. Il Tribunale di Benevento sancì l’assoluzione del regista e riconobbe “I Racconti di Canterbury” come “opera d’arte”. La decisione, che fu poi confermata sia a Napoli che in Cassazione, fu un passo importante per spingere avanti il dibattito sulla libertà artistica e sulla necessità di superare la censura, che, dopo un lungo e travagliato cammino , è stata abolita soltanto l'anno corso col decreto Franceschini.
Nel processo furono coinvolti, oltre al regista, anche il produttore Alberto Grimaldi e Salvatore Iannella, gestore della sala cinematografica. Gli avvocati sanniti impegnati nella difesa furono Franco Fusco e Luigi Vessichelli. Seguirono altre denunce, da Bologna a Palermo a Firenze, ma i giudici di Benevento smontarono tutto l’impianto accusatorio.
Il film, che vinse l'Orso d'Oro al Festival di Berlino, si ispira in modo critico all’opera del poeta inglese Geoffrey Chaucer e narra di un gruppo di pellegrini che si recano al santuario di San Tommaso Becket. Per strada si fermano in una taverna e passano il tempo a raccontare novelle. “Il film -spiega Rotili- rappresenta un viaggio immaginario nell’inferno dell’animo umano, dominato dall’aggressività, dalla cupidigia, dalla ferocia, dall’attaccamento ai beni terreni, dall’egoismo. Anche le scene a sfondo sessuale -rilevano con un’espressione modernissima i giudici beneventani- “non sono “libidinogene”, mancando una presa sessualmente valida sui centri cerebrali dello spettatore”. Il regista ci invita a riflettere sulle nefandezze e a sperare in un mondo migliore”.
La rievocazione, promossa dall'assessorato alla cultura e ideata da Alessandro Rillo, ha voluto celebrare i cento anni di Pasolini ed i 50 anni da quel famoso ed ormai storico processo. Un attore, Alfredo Martinelli, ha interpretato il regista, leggendo quello che disse davanti alla Corte d’Appello di Napoli il 19 giugno del 1973. “Nella mia opera non c’è alcun contenuto di oscenità. Ho inteso realizzare un film non ideologico. La mia idea è stata quella di combattere il tabù sessuale, perché sono convinto che l’uomo conservi nei suoi rapporti con l’altro uomo una carica latente di aggressività e violenza, determinata e alimentata da libido repressa. Ritengo che molti fatti umani, forse persino le guerre, hanno una loro spiegazione su questo piano. Condivido la sostanza dei concetti espressi nella sentenza del Tribunale di Benevento”.
Per le sue opere, Pasolini subì ben 33 processi. Ripercorrendo questa “persecuzione”, il saggista Viola ha ricordato alcuni episodi eclatanti. Qualcuno accusò il regista di averlo visto fare una rapina con una pistola dalle pallottole d’oro, un altro lo denunciò perché i cani sguinzagliati dopo le riprese di un film gli avrebbero sbranato 50 pecore. Mentre Morante ha citato Paolo Veronese, che nel 1573 fu costretto a cambiare il titolo di una sua opera, e il beneventano Niccolò Franco arso vivo per aver scritto dei versi contro la chiesa.
“La sentenza di Benevento del 20 ottobre 1972 -ha concluso Rotili- ha una modernità formidabile anche perché attua i principi costituzionali sanciti negli articoli 33 e 21, relativi alla libertà di pensiero e di stampa, e perché fu emessa in un periodo storico, caratterizzato da forti contrapposizioni politiche, morali e religiose, proprio a mezza via tra il movimento sessantottino ed il referendum sulle legge del divorzio del 1974, che a Benevento non ebbe il voto favorevole. La visione di Pasolini non era pessimistica, puntava a difendere la primitività, la genuinità e la naturalezza contro il genocidio culturale, che la società dei consumi stava operando. Un problema molto sentito anche oggi in un mondo globalizzato che ha massificato gli stili di vita”.
|