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Il ricordo di Gianni Vergineo, storico e politico "impertinente" - "Nella Dc ero uno straniero in patria, ma rimasi di sinistra"
 

mer 30-11-2022 18:07 n.252, a.e.

Il ricordo di Gianni Vergineo, storico e politico "impertinente"

"Nella Dc ero uno straniero in patria, ma rimasi di sinistra"


Da San Bartolomeo in Galdo a Benevento, dal mondo contadino del Fortore al rinomato Liceo Classico” Giannone”, per svolgere la “missione” di docente, distinguendosi ben presto come politico “impertinente” e brillante convegnista. La figura di Gianni Vergineo è stata al centro di un incontro svoltosi al Museo del Sannio, per iniziativa della sua famiglia e di un gruppo di amici ed estimatori. Quale fu il suo percorso formativo? Cosa lascia la sua opera di educatore e saggista? Quale fu la sua evoluzione politica?

L’occasione per una riflessione è stata offerta dal centenario della sua nascita. Il punto di partenza non poteva non essere il mondo della scuola, anche per il dibattito acceso dai nuovi governanti con la riscoperta di parole come “meritocrazia” ed “umiliazione”. “Dove li mandiamo -osserva il figlio Giancarlo Vergineo, anch'egli docente al Giannone- quelli che la scuola respinge? La presidente del consiglio dice di essere cristiana. Dovremmo bandire dalla scuola la falsa coscienza della meritocrazia e la logica della competizione, per recuperare la logica della solidarietà e della comunità inclusiva”.

Il giovane Vergineo non andava d’accordo con la scuola dei suoi tempi fin dalle elementari. Si fece comprare i libri dal padre e si mise a studiare da solo. Non sopportava i metodi severi dei maestri. In un saggio pubblicato quattro anni fa raccontò questo suo “percorso fuori argine”. Fu bocciato in terza media. Dopo varie contestazioni e ribellioni, approdò al liceo classico di Benevento, si diplomò ed infine si laureò in due anni (1944-1946). La sua formazione culturale avvenne praticamente in forma autodidatta.

Il padre, dal “cipiglio adirato” ed inflessibile, voleva che diventasse orefice, ma l’incontro col cugino Anacleto gli aprì nuovi orizzonti scolastici e sociali. Poi partì per la guerra, ma dopo l'armistizio dell’8 settembre 1943 ritornò a casa, finendo nell’elenco dei “disertori”. Per questo attese alcuni anni prima di approdare alla cattedra di italiano e latino nel Liceo Giannone, concludendo la sua carriera di docente nel 1989. Morì nel 2003.

L’insofferenza verso gli schemi contraddistinse anche il suo insegnamento. “Per Vergineo  -racconta Mario Pedicini, suo allievo- non esisteva l’interrogazione classica o a tradimento. Usava il registro solo ogni trimestre e alla fine dell’anno. Dedicava molta attenzione a quelli più scarsi, a quelli più bisognosi d’aiuto. Una volta arrivò in provveditorato un esposto che contestava la sua frequente nomina a membro interno per gli esami di maturità, ma egli spiegò che lo faceva per tutelare i suoi alunni dalle “pretese” di qualche commissario. Come consigliere provinciale era spesso impertinente. Ricordo che propose di "recintare Airola" per fare il manicomio sannita, sfottendo il presidente Alessandro Lombardi”.

Il convegno per il centenario è forse solo un primo passo per scandagliare la poliedrica attività dell’illustre studioso. “Chi era Vergineo -si è chiesto Pier Luigi Rovito- uno storico, un antropologo, un filosofo della storia o un letterato? La sua abilità consisteva nello spiegare  concetti difficili con parole semplici. Per lui la cultura era intesa come “sapientia”, la storia non era officina di dogmi, ma terreno di ricerca. Stiamo creando una Fondazione a lui dedicata, su temi del territorio, con il contributo di alcune università americane e italiane”.

Il compaesano Salvatore Colatruglio ha raccolto in un libro, edito da “Realtà Sannita”, alcuni aspetti autobiografici di Vergineo, con particolare riferimento alla vita giovanile a San Bartolomeo in Galdo e alle sue esperienze scolastiche e politiche. “Il mio rammarico, mi disse un giorno -ricorda Colatruglio- è quello di non aver potuto fare di più per il nostro paese. Si sentiva come un bambino infelice e "triste", che "guarda dal balcone l’intera vallata del Fortore", consapevole dell’isolamento del Sannio e delle zone interne”.

L’impegno in politica fu contrassegnato da profonde delusioni. “Si presentò come un politico nuovo -fa notare Roberto Costanzo- nelle file della Democrazia Cristiana, uno dei pochi a non avere legami col fascismo. Fu stretto collaboratore di Giambattista Bosco Lucarelli, che forse si dichiarò repubblicano anche per il suo influsso, nel referendum del 1946. La sua visione era diversa da quella di Mario Vetrone e della Coldiretti. Già a metà degli anni cinquanta manifestò il dissenso, con un comizio ad Airola. Comunque Vergineo era un cattolico di sinistra, democratico,  ed auspicava il rinnovamento dei partiti”.

La sua critica alla Dc si fece sempre più pungente, per le “lotte di predominio” interne e per una gestione del potere lontana dai bisogni popolari. “L’ingresso di vecchi proprietari terrieri -scrive Vergineo nel “Saggio di Autocoscienza”-  in vena di rivalsa e di controllo dei canali della spesa pubblica, sconvolse l’identità del partito. Questi avevano identificato nella Dc lo scudo più efficace per i loro interessi privati. Mi parve di essere uno straniero in patria, quasi un alieno, e decisi di chiudere i conti col partito e con la vita politica, rimanendo su una posizione criticamente attiva e dinamica di sinistra”.

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