Tutti i colori del jazz. Dall'America al Brasile. Con la voce elettrica e vellutata di Beatrice Valente. Un viaggio affascinante tra ritmi e sonorità indimenticabili, tra le perle della beat generation e del sound sudamericano. Su questi binari frizzanti si è sviluppato il concerto del "Beatrice Valente Quartet", tenutosi nell'Auditorium San Vittorino di Benevento, nell'ambito della rassegna promossa dall'Accademia di Santa Sofia, con la consulenza artistica di Umberto Aucone, e con la collaborazione dell'Università del Sannio.
"Mi sono diplomata in contrabbasso -ha esordito Beatrice Valente- al Conservatorio di Benevento nel febbraio 2019, studiando con Rino Zurzolo, il contrabbassista di Pino Daniele. Anche mio fratello ha studiato qui. Comprenderete la grande emozione che provo ogni volta che vengo in questa città". La cantante, originaria di Mondragone, è figlia d'arte, di padre sassofonista e madre cantante lirica, si è fatta conoscere sul piano nazionale per stile ed originalità, nonchè per grinta e raffinatezza.
Il concerto al San Vittorino si è rivelato ricco e variopinto, grazie anche al prezioso affiatamento con il fratello Ergio Valente al pianoforte, Rocco Sagaria alla batteria, e Massimo Barrella alla chitarra. "Il quartetto -scrive l'addetta stampa Monica Carbini- è nato dalla gioia di fare musica insieme, dal desiderio di unire le differenti esperienze, per comunicare nuove atmosfere sonore e vibrazioni. Per divertire e far ballare".
I quattro musicisti partono con “I've Got the World on a String”, standard jazz del 1932, composto da Harold Arlen (l’autore di “Over the Rainbow”) e portato al successo da Cab Calloway, leggendario cantante del Cotton Club di New York, e ripreso poi da Bing Crosby e da Frank Sinatra, che ne fece una hit, e subito si incamminano lungo i sentieri latino-brasiliani di “Flor de lis” del 1976, forse la bossa nova più conosciuta di Djavan.
L'eclettica cantante vola nella melodia romantica di Pino Daniele con una versione struggente di “Quando”, dedicata anche al suo grande contrabbassista Rino Zurzolo, prematuramente scomparso. Poi è la volta di un inedito, “Fly”, composto proprio dalla Valente e dedicato con profondo affetto al suo contrabbasso, solo apparentemente ingombrante zavorra e pesante compagno di viaggio, che invece le cambia la vita.
Il quartetto si tuffa di nuovo nell'atmosfera brasiliana con una composizione di Carlos Lyra, “Influência do Jazz”, altra elettrizzante bossa nova, dove il batterista, Rocco Sagaria, offre un saggio esplosivo del suo straordinario talento. Ritmo spumeggiante con “Blame it on my Youth”, uno standard jazz, cantato da grandi nomi, scritto nel 1934 da Oscar Levant, e collegato al film “Un americano a Parigi”. Sudamerica alla ribalta con “Brazil” di Jobim.
Il grande jazz procede a passi incalzanti con “It Don’t mean a thing, (If It Ain't Got That Swing)” (1931) di Duke Ellington. Subito dopo un omaggio alla storia della musica leggera e ai cantautori italiani, con un ricordo di Luigi Tenco e un felice arrangiamento di “Mi sono innamorato di te” del 1962. Beatrice Valente canta con garbo e trasporto “Oh Che Sarà”, scritta da Ivano Fossati su una traduzione del testo di "Chico" Buarque de Hollanda.
L’ultimo brano è un altro storico standard, “(Get Your Kicks On) Route 66”, dove la chitarra di Massimo Barrella, spadroneggia alla grande, pur sempre nel fecondo rapporto con tutti gli altri strumenti, dove il contrabbasso freme e balla letteralmente, fino ad arrivare al vivacissimo dialogo finale, tra batteria e voce. Gli applausi scroscianti del folto pubblico portano i musicisti a un doveroso bis, un “Samba brasileiro”, per chiudere in bellezza.
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