La vicenda si svolge in una piazza. C’è una caffetteria, il barbiere, una casa da gioco. Con un viavai di personaggi, con i loro vizi e le disavventure amorose. Un brulichio di occhi che guardano ed orecchi che annusano con sospetto tutte le attività e tutti i movimenti. Siamo nel classico campiello veneziano, dove si dipana l’azione de “La Bottega del caffè” di Carlo Goldoni, portata in scena al Teatro Comunale di Benevento per la rassegna “Città Spettacolo”, da Michele Placido, con la regia di Paolo Valerio.
C’è chi si adopera per il bene e chi trama per mettere in cattiva luce qualcuno, chi pensa agli affari e chi s’intrufola nei fatti degli altri. I protagonisti prendono corpo pian piano, attraverso le loro storie, che spesso s’intrecciano, dando vita ad una vivace commedia d’ambiente. C’è Eugenio, incallito giocatore, che trascura la moglie Vittoria ed è pronto a vendere i suoi orecchini per pagare i debiti. C’è il biscazziere Pandolfo che truffa con le carte truccate. Ci sono una ballerina ed una pellegrina, al centro di fantasie erotiche.
La commedia diventa un’orchestra e il direttore è Don Marzio, interpretato con naturalezza burlesca da Michele Placido, che tira i fili delle bugie e delle dicerie, raccontando intrighi immaginari, parlando di donne, che ricevono gli uomini dalla “porta di dietro”, presentandosi come uomo onorato, pronto ad aiutare, “più famoso dell’Himalaya”, come persona di fiducia che sa tenere la bocca chiusa, ma che poi spiffera tutto alla prima occasione, dimostrando di essere nient’altro che uno spione.
Quest’opera del Goldoni, scritta nel 1750, comincia ad attuare la sua riforma del teatro, che puntava a superare la commedia dell’arte, basata sull’improvvisazione, e a sostituirla col copione, che assegnava parti precise a tutti gli attori. Risaltano per questo il briccone, l’imbroglione, lo sfaccendato, il mercante, il bottegaio, il pettegolo. Nello stesso tempo si delinea la figura della donna paziente e tenera verso i capricci dell’uomo. Rimbalzano concetti e considerazioni del tempo, come “La moglie onesta deve obbedire”, oppure “quando la moglie è in collera bastano quattro carezze per consolarla”.
Nella combriccola del caffè circolano i versi “l’allegria non è perfetta quando manca la donnetta”. Preso dall’euforia, anche Don Marzio tenta di abbordare la ballerina offrendole “quattro castagne secche di Avellino”, ma viene respinto. Le coppie alla fine si riappacificano, ritorna la serenità nella piazza. L’artefice degli “inciuci” viene smascherato e scacciato dalla città. “Andrò via –dirà mestamente Don Marzio- dalla vostra bella città, dove godete della libertà e del divertimento, ma in futuro siate cauti e prudenti”.
Con Michele Placido hanno recitato Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Anna Gargano, Armando Granato, Vito Lopriore, Francesco Migliaccio, Michelangelo Placido e Maria Grazia Plos, che hanno reso felicemente la giocosità intrigante delle storie. L’attore, originario di Ascoli Satriano, ha ricordato che da ragazzo veniva col padre a Benevento. "Pochi giorni fa -ha concluso Placido- siamo stati a Bergamo, ci siamo commossi per la ripresa del teatro dopo la lunga pandemia.Voglio abbracciare tutta la comunità culturale della città. Siamo noi che facciamo un applauso a tutti voi che siete qui”.
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