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La rivoluzione sognata nel Sannio dalla Banda del Matese - Veltroni: "Violenza incompatibile con la democrazia"
 

gio 27-04-2023 21:53 n.310, a.e.

La rivoluzione sognata nel Sannio dalla Banda del Matese

Veltroni: "Violenza incompatibile con la democrazia"


La rivoluzione è possibile, anche partendo da un piccolo paese del Mezzogiorno, dove c’è una classe contadina, che non aspetta altro per ribellarsi all’oppressione. Con questa convinzione si mossero gli Anarchici del Matese, che puntarono su San Lupo, Letino e Gallo, per dare una dimostrazione delle potenzialità insurrezionali e mandare un segnale all’Internazionale Socialista. Un’azione ardita, che si svolse nel giro di una settimana, tra il 5 e l’11 aprile 1877, tra organizzazione e fallimento.

I fatti e il processo di questa vicenda, sviluppatasi tra il Sannio e il casertano, sono stati raccontati in un convegno svoltosi nel Palazzo Paolo V di Benevento, per iniziativa dell’Istituto Storico del Risorgimento in collaborazione con l’Università sannita. “Il nostro obiettivo -ha detto Luigi Razzano- è quello di far conoscere la storia del nostro territorio, di incuriosire soprattutto i giovani. Ringrazio il Liceo Artistico “Virgilio”, che ha curato la grafica e ha allestito la mostra, con documenti  e giornali d’epoca”.

Il convegno, condotto con tempi televisivi da Piero Marrazzo, noto giornalista Rai, ha avuto come interlocutore d’eccezione Walter Veltroni. L’accusa è stata rappresentata dalla docente Unisannio, Antonella Marandola, mentre per la difesa ha parlato Luigi Diego Perifano. “Per portare avanti la loro azione – ha spiegato lo storico Bruno Tomasiello, autore de "La Banda del Matese"-  i rivoluzionari si riunirono in una taverna di San Lupo, ma insorsero a Letino. Qui ci fu uno scontro a fuoco e fu ferito un carabiniere che poi morì”.

Gli anarchici del Matese, guidati da Cafiero e Malatesta, erano appena 26, ma per arrestarli furono mobilitati 12 mila soldati. Il processo fu fatto nel tribunale di Benevento e furono tutti assolti. “La sentenza fu sorprendente – ha osservato Perifano- perché il capoluogo sannita veniva da otto secoli di dominio pontificio ed era considerato papalino. Nella difesa degli insorti s’impegnò in modo ammirevole il giovane avvocato Francesco Saverio Merlino, di appena 22 anni”.

Dopo la morte di Vittorio Emanuele, i reati politici furono amnistiati, ma l’accusa si indirizzò sulla “lascivia di sangue”. Intorno agli insurrezionalisti si creò comunque un alone di simpatia. “Quando ci fu l’assoluzione –ha ricordato Tomasiello- davanti al tribunale di Benevento si accalcarono circa duemila persone per festeggiare gli anarchici. Qualche giorno dopo lo studioso socialista Pasquale Martignetti scrisse un bellissimo articolo sull’episodio. Il parroco don Raffaele Fortini li paragonò agli apostoli della giustizia”.

Il tentativo insurrezionale naufragò perché non riuscì a coinvolgere la popolazione. “Questo dimostra-  ha sottolineato il rettore Gerardo Canfora- che le rivoluzioni e le innovazioni non si possono esportare. Il cambiamento non si può decidere a tavolino”.  Cosa insegnano quei fatti? Per Marandola va ricordato il ruolo dei processi che hanno debellato il terrorismo, mentre per Perifano è importante la fermezza degli ideali, che, però, vanno sempre collegati alla partecipazione e all’impegno diretto.

Per l’ex leader del Pd, oggi scrittore e regista, la vicenda va contestualizzata. “Questi fatti -ha concluso Veltroni- hanno una bellezza letteraria, ma la violenza è incompatibile con la libertà e la democrazia. Quando ero sindaco feci stringere la mano ai familiari dei fratelli Mattei e alla madre di un giovane di sinistra ucciso dai fascisti. Quando Vittorio Foa incontrò il missino Giorgio Pisanò, gli disse: “Vedi la differenza tra noi, quando avete vinto voi, io stavo in galera, quando abbiamo vinto noi, tu sei senatore”. Vorrei che questa semplice e meravigliosa differenza tra libertà e dittatura fosse sempre ricordata”.    



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