La guerra arrivò a Benevento il 20 agosto 1943, alle ore 11,15, quando 63 bombardieri bimotori americani sganciarono le prime bombe sulle stazioni Centrale ed Appia, sulla ferrovia, sullo stabilimento Alberti, sulla Società Aeronautica Sannita, sulla segheria Miele e la falegnameria Russo, sulle officine e gli impianti industriali del circondario, provocando un incendio, quasi duecento morti e migliaia di feriti. “Nell’ospedale San Diodato -scrive don Rocco Boccaccino- si camminava su un tappeto di sangue”.
Nel drammatico ricordo dei bombardamenti spicca la distruzione della Cattedrale. Per ripercorrere quei terribili giorni, la diocesi di Benevento ha promosso presso il Centro La Pace, una riflessione storica collegata all’attualità e al bisogno di pace dei nostri giorni, con le guerre che ancora divampano intorno a noi, che continuano ad attaccare la bellezza, come 80 anni fa. Per celebrare anche l’impegno di un costruttore di dialogo, come don Emilio Matarazzo, a 45 anni dalla morte.
La traccia sono i dieci quaderni lasciati dall’arcivescovo Agostino Mancinelli, che operò a Benevento dal 1936 al 1962. “Non ci sono grossi eventi -spiega don Mario Iadanza- ma tanti episodi di vita quotidiana. Il prelato annotava nel diario la sua attività ecclesiastica, ma anche le incursioni aeree, le conseguenze dei bombardamenti, la disperazione della gente. Quando arrivò la svolta dell’otto settembre, con la firma dell’armistizio, ci fu subito un momento di giubilo, ma ben presto iniziò un altro calvario”.
Cominciarono i primi scontri coi tedeschi che erano diventati i padroni della città. L’atmosfera è descritta da monsignor Salvatore De lucia, che già il 10 settembre vede una “città morta”, perché tanti ormai erano andati via nei paesi vicini, in cerca di alloggi di fortuna. Le stesse autorità cittadine, come il prefetto Mormile e il questore Volpe, erano fuggite. Dal resoconto di Mancinelli emerge che i sacerdoti erano rimasti al loro posto. Le chiese ancora in piedi erano Santa Sofia, l’Annunziata e San Maria La Verità.
Il colpo forse più pesante fu scagliato sabato11 settembre, quando dalle 14,00 alle 14,03, si scatena su Benevento una tempesta di 240 bombe di 500 libbre ciascuna. Tutta la zona che va dal Duomo alla Madonna delle Grazie è rasa al suolo. Stessa sorte per Vico Bagni, per le case di Corso Vittorio Emanuele e la Cattedrale. Il giorno dopo gruppi di sciacalli si avventano sulle vittime e nelle case per saccheggiare ogni cosa, incoraggiati dagli stessi soldati tedeschi. La città diventa terra di nessuno.
Gli anglo-americani miravano a distruggere il ponte sul Calore e la Ferrovia, per interrompere le vie di comunicazione, ma sbagliarono clamorosamente bersaglio. Dopo le diverse ondate si contarono oltre duemila morti. Tra questi la giovanissima Tonina Ferrelli, che fu colpita da una cannonata tedesca che gli mozzò la testa, mentre era affacciata alla finestra di una casa di Cretarossa dove si era rifugiata con la famiglia. Tra gli sfollati anche l’arcivescovo Mancinelli che trovò riparo a Sant’Angelo a Cupolo.
Cosa rimase della Cattedrale? La facciata in stile romanico fu ridotta a brandelli, la porta di bronzo perse diverse formelle. Ressero la torre campanaria ad alcune parti del portale. Tutto il resto fu atterrato e incendiato. “Il ministro dell’istruzione Arancio Ruiz – rileva Iadanza- voleva abbattere tutto ma Mancinelli si oppose. L’arcivescovo rimase senza casa e questo lo rese uguale agli altri. Per questo poteva parlare con autorità. Quando il capo delle SS, Himmler, venne in città, non si presentò a stringergli la mano”.
Il ricordo di quei terribili giorni è stato arricchito dalla testimonianza di Roberto Costanzo. “Quando Mussolini -racconta l’ex europarlamentare- annunciò trionfalmente l’entrata dell’Italia in guerra, io rimasi molto scosso, mentre tanti lo applaudivano in Piazza Venezia. Vi faccio una confidenza: io mi rifiutavo il sabato di indossare la divisa da balilla per la sfilata. Non per antifascismo, ma perché ero contestatore. Da San Marco dei Cavoti, noi ragazzi guardavamo i bombardamenti come fuochi d’artificio”.
Quello che succedeva a Benevento non si sapeva nei paesi della provincia. Le notizie erano frammentate. “Nell’estate del ’43, avevo appena 14 anni e da poco conseguito la terza media -continua Costanzo- mio padre mi portò in città, forse per farmi vedere cos’era la guerra. Dal ponte sul Calore al Duomo c’era una montagna di macerie alta otto metri. Un mio amico fu colpito sulla carrozzella. I tedeschi, ritirandosi, distrussero 195 ponti. Anche gli alleati non ebbero molto rispetto della città, incendiando l’archivio della Camera di Commercio, che usarono per riscaldarsi”.
La ricostruzione delle case e del Duomo cominciò molti anni dopo. “Dobbiamo fare conoscere -propone Costanzo- la figura di monsignor Mancinelli nella sua giusta luce. Ho sempre pensato che non è possibile che il mio maestro politico, Bosco Lucarelli, annunciasse pubblicamente nel Teatro Comunale la sua scelta repubblicana, mentre la DC aveva deciso di non pronunciarsi, è impossibile che un cattolico come don Giovanni, non l’avesse concordato con l’arcivescovo Mancinelli”.
Le cronache della guerra parlano di aumento della delinquenza minorile, del mercato nero, della prostituzione. La lezione del 1943 non è bastata. Possibile che la pace si debba ottenere col sangue dei popoli? “Se allora ci furono tante vittime -conclude l’arcivescovo Felice Accrocca- immaginiamo cosa può succedere oggi con la potenza delle armi moderne. Basti pensare a cosa sta avvenendo a Gaza, dopo l’attacco di Hamas. Temo che la reazione abbia fatto già cinque volte i cadaveri del 7 ottobre. Speriamo che col dialogo e la ragione si possa ottenere una pace che fermi ulteriori lutti”.
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