Il racconto di Domenico Iannacone abbraccia immagini, parole, odori, luoghi e persone con rabbia e fervore. Con la voce ed i gesti ci porta all’inferno e nella possibile resurrezione. Dopo l’esperienza televisiva, il noto giornalista ha realizzato per il teatro lo spettacolo “Che ci faccio qui…in scena”, che prende il titolo da un suo recente programma, col quale ha debuttato al Mulino Pacifico di Benevento, nell’ambito della rassegna promossa dalla Solot, richiamando il pubblico delle grandi occasioni.
“Che ci faccio qui -esordisce Iannacone- è una domanda che mi faccio tante volte, dentro e fuori di me. E’ una domanda aperta. Mi è venuta voglia di uscire dalla scatola della tv e di rivolgermi direttamente alla gente. Le storie che ho raccontato reclamano un cambiamento. Bisogna uscire dall’indifferenza con cui guardiamo agli ultimi, superando le paure dell’altro e del diverso. Io vengo da Torella del Sannio, un piccolo paese del Molise. Ognuno di noi ha un continente interiore da tirar fuori”.
Dopo un tuffo nella sua infanzia, affonda il bisturi nelle storie drammatiche di Michele, che dorme in una macchina dopo la separazione dalla moglie, del disastro della “Leo”, la più grande fabbrica dei medicinali, di Maria che vive tra i ruderi, dei ragazzi di Scampia, che si drogano nella ex Casa dei Puffi, di tanti invisibili e dimenticati dal mondo. “Mentre fuori succede tutto questo -denuncia Iannaccone- perché non abbiamo fatto nulla? Dove ci siamo rinchiusi? Abbiamo paura che fuori ci sia sempre qualcuno pronto a chiederci e rubarci qualcosa. Per questo abbiamo smesso di guardarci negli occhi".
Ma, per fortuna, c’è chi non si gira dall’altra parte. A Trieste c’è l’associazione Linea D’Ombra che assiste i migranti che vengono dalle rotte balcaniche, che si rimbocca le maniche per curare le ferite dei loro piedi. A Campobasso c’è Pierpaolo, ragazzo down che accudisce la madre malata di Alzheimer. I raggi di luce che brillano nello squallore sono tanti, vanno fatti conoscere e incoraggiati. “Durante i miei incontri -osserva Iannacone- ho cercato esempi alternativi e ho pensato che almeno uno dovevo salvarlo”.
Il giornalista si imbatte in Fausto Delle Chiaie, quasi ottantenne, un artista sconosciuto ma originale, lancia con altri una petizione per fargli avere il riconoscimento della legge Bacchelli. Lo scopo viene raggiunto. A volte basta poco per rianimare un quartiere. Succede a Corviale, dove alcuni volenterosi realizzano un campo di calcio per i ragazzi. Tra le storie belle ed emblematiche spiccano il Museo degli Oggetti di Domenico Agostinelli e la Fabbrica Lenta dei Bonotto a Molveno, in provincia di Vicenza.
“C’è un mondo sottosopra -conclude il giornalista- sottomesso a una legge camorristica e innaturale. Guardiamo ai guasti della Terra dei Fuochi, al disastro provocato dalla Richard Ginori a Calvi Risorta, alle Ecoballe di Giugliano. Ci vuole una mobilitazione popolare. Come hanno fatto le mamme di Terzigno che si sono ribellate contro il Biocidio. L’iperconsumismo sta portando alla rovina il pianeta. Il cemento e la plastica hanno sorpassato le biomasse. Più conosciamo i problemi, più possiamo cambiare le cose”.
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