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Il calvario di un sopravvissuto ad Auschwitz nel racconto del figlio - Fiano: "Grave avere alte cariche dello Stato non antifasciste"
 

gio 25-01-2024 16:45 n.411, a.e.

Il calvario di un sopravvissuto ad Auschwitz nel racconto del figlio

Fiano: "Grave avere alte cariche dello Stato non antifasciste"


“La mia famiglia viveva a Firenze, quando nell’estate del 1938 la dittatura fascista approvò le Leggi Razziali. Da un giorno all’altro gli ebrei furono cacciati dalle scuole, fu impedito loro di lavorare, insegnare, di esercitare qualsiasi attività. Mio nonno fu licenziato. Solo 7 docenti si rifiutarono di firmare quelle teorie razziste. Arrivò il 1943. Cadde il fascismo e fu firmato l’armistizio dell’otto settembre. I tedeschi diventano invasori e cominciano i rastrellamenti. Il più grande avvenne a Roma con oltre 1200 persone”.

Il racconto di Emanuele Fiano è serrato, scandisce con emozione tutte le tappe del calvario di suo padre Nedo, sopravvissuto alla Shoah. Ad ascoltarlo ci sono centinaia di studenti delle scuole superiori di Benevento. Altri sono in collegamento. L’incontro è stato promosso dall’Università “Giustino Fortunato” e fa parte di un laboratorio. L’argomento è introdotto da un video con le immagini e le testimonianze di altri sopravvissuti, tra cui Sami Modiano. Si presenta il libro di Fiano “Sempre con me. Le lezioni della Shoah”.

“Mio  padre e i miei nonni -continua l’ex deputato Pd- decidono di fuggire, cercano di nascondersi, chiedono aiuto ai vicini, bussano a tante porte, ma molti avevano dimenticato di essere amici. Comunque trovano una persona buona che li accoglie. Ma il 23 febbraio 1944, due della milizia fascista arrestarono mio padre, che aveva solo 19 anni, e lo portarono a Fossoli, un campo di transito, presso Carpi. Da qui fu messo su un carro bestiame con tanti altri. Destinazione Auschwitz, dove arrivò il 23 maggio”.

Nessuno poteva immaginare a cosa andavano incontro. La descrizione del viaggio e del campo di concentramento è minuziosa e impressionante. Quel luogo era una “fabbrica di morti”. “Videro per prima le ciminiere- prosegue Fiano- erano quelle dei forni crematori. C’erano cani addestrati a strappare i genitali ai prigionieri. Le donne furono separate dagli uomini. Mia nonna abbracciò mio padre e non lo ritrovò più. Molti furono uccisi a fucilate, altri nelle camere a gas, pressati come acciughe nelle scatolette”.

Dopo più di un anno ad Auschwitz, Nedo si salvò perché fu messo a lavorare alla banchina dei treni, puliva i vagoni, conosceva il tedesco e sapeva cantare. Fu liberato l’11 aprile del 45. “Fu l’unico sopravvissuto della mia famiglia -osserva Fiano- gli altri dieci sono tutti morti”. “Il ricordo della Shoah -ha sottolineato il rettore Giuseppe Acocella- non è un cammeo da consegnare ad una giornata, né un rito, ma deve essere collegato ad un impegno permanente contro i rigurgiti di antisemitismo. Dobbiamo conoscere tutto”.

Dopo il racconto, la parola passa ai ragazzi, coordinati dal docente Paolo Palumbo. Come è stato possibile quello che è successo? Può ripetersi? “Sotto la dittatura -risponde Fiano- fare una scelta non era semplice, ma c’è chi si schierò. Non credo che il fascismo possa tornare. Dobbiamo stare attenti all'indifferenza e ai nazionalismi. Comunque è grave che ci siano alte cariche dello Stato che non si dichiarano antifascisti. La memoria non va intesa come celebrazione, ma come lezione. La pace in Medioriente può venire solo riconoscendo “due popoli, due stati”. Garantendo libertà e democrazia a tutti”.



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