Sul palcoscenico un tavolo con sopra un elenco telefonico di Napoli, la statuetta dell’extraterrestre, immagine del famoso film di Spielberg, una bottiglia di vino rosso. Lo scrittore napoletano Lorenzo Marone racconta la sua generazione, denominata X, accompagnato dal clarinetto di Davide D’Alò. Un monologo semiserio, recitato con ironia, nostalgia e bravura d’attore, che ha richiamato un numeroso pubblico nell’Auditorium San Vittorino, grazie all’iniziativa di “Ubik Liberi tutti” di Benevento.
“Siamo la generazione silenziosa -ha evidenziato Marone- quella di mezzo, rispetto ai Boomers e ai Millennials. Quelli del boom economico, nati prima del 1965, credevano che il mondo rimanesse sempre uguale. Invece è cambiato. Noi, che stiamo tra il 1965 e il 1980, siamo considerati quasi invisibili. Quelli venuti dopo di noi sono chiamati anche “Fiocco di neve”. Quella dopo il 2000 è la generazione Zeta. I nostri genitori, cresciuti tra politica e Pino Daniele, ci hanno inculcato la cultura della contestazione”.
Lo scrittore, che indossa una maglietta nera con su scritto 1974,il suo anno di nascita, assaggia un sorso di vino, ogni tanto lo porta al musicista. A volte dialoga col padre Riccardo, seduto in prima fila. “Siamo quelli -continua- che a 50 anni si devono occupare di un figlio di dieci, che cercano un’adolescenza di ritorno, perché un tempo si era liberi. Oggi invece siamo tracciati, controllati dai più variegati congegni elettronici. Stiamo continuamente a “scrollare” sul cellulare per trovare messaggi e notizie”.
L’epoca di Marone, che molti vedono giovane anche se non lo è più, è colorata da Diego Armando Maradona, da Massimo Troisi, dal rompicapo del cubo di Rubick, che “ancora non siamo riusciti a ricostruire”, mentre ci sono alcuni ragazzi di oggi che riescono a trovare la soluzione in tre secondi, c’è addirittura qualcuno che ne fa tre in quattro minuti. Tra i momenti più belli spiccano gli scherzi telefonici, specialmente con quelli che di cognome facevano “Saiza” e “Sacala”.
Il passaggio di testimone tra le generazioni è scandito dalle note di “Allerìa” di Pino Daniele, de “Il postino” di Bakalov, Stravinsky, “Futura” di Lucio Dalla, “Core ‘ngrato” e da alcune musiche originali composte da Davide D’Alò. La narrazione di Marone inanella citazioni di Luciano De Crescenzo e Albert Einstein. Mette in risalto la velocità del tempo, la scomparsa di certe figure tipiche, come il paninaro, la svolta mediatica con la tragedia di Alfredino nel pozzo del 13 giugno 1981, l’avvento delle televendite.
“Ma la cosa che più ha sconvolto la nostra vita -conclude Marone- è la musica Trap, arrivata dall’America. Esprime un disagio sociale, ma un messaggio distruttivo sbagliato. Reclamando per i giovani tutto e subito. Si sono perse la curiosità e la bellezza dell’attesa. Per dirla con Einstein, due sono le cose infinite: l’universo e la stupidità umana. Aveva ragione mio nonno, che affermava “Stu munno è asciuto pazzo”. Le cose cambieranno se partecipiamo. Un giorno finirà anche la Trap”.
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