“La mia vera casa è il palcoscenico. Là io so esattamente come muovermi, cosa fare. Nella vita io sono uno sfollato. Il teatro nasce dal teatro. Lo puoi fare solo se tu sei teatro. Perché il teatro nasce dal teatro e quando è puro non conosce giochi”. Per Toni Servillo sta qui il senso della commedia eduardiana. Il suo teatro non rappresenta la plebe, ma una miseria dignitosa. I suoi personaggi si muovono come equilibristi, sono ondeggianti. Le battute sono lasciate cadere come piume. Eduardo De Flippo è davvero uno “Charlot Mediterraneo”. E la sua avventura letteraria ed umana va letta nei suoi molteplici aspetti.
Il grande drammaturgo è stato omaggiato da Toni Servillo attraverso un percorso inedito. Tra letture di brani autobiografici e commenti di critici e scrittori. Tra stralci filmati di commedie e recite di poesie emblematiche sul destino dell’umanità. L’attore de “La Grande Bellezza” si è mosso tra analisi colte ed interventi da lectio magistralis. Del resto la performance è stata promossa dall’Università del Sannio. Lo spettacolo è volato alto, concludendo in bellezza il Festival Bct, in una gremita Piazza Roma. Disegnando la parabola di una vita da palcoscenico e di una stella che brilla di luce propria tra Raffaele Viviani ed Eduardo Scarpetta. Che si staglia in paradiso come la vicenda disperata di Vincenzo De Pretore, che sogna un approdo felice dopo un’esistenza miserabile e povera, recitata dall’attore con intensa gestualità.
Raccontando Eduardo, Servillo si è avvalso delle analisi di Domenico Rea, Anna Maria Ortese ed Enzo Moscato, ma è partito dalle parole dello stesso commediografo.Facendo parlare le sue riflessioni più intime e sofferte. “Alla base del mio teatro -ha detto l’attore, leggendo Eduardo- c’è sempre conflitto tra individuo e società. Tutto ha inizio sempre da uno stimolo emotivo: reazione a un’ingiustizia, sdegno per l’ipocrisia mia e altrui, solidarietà, empatia umana per una persona o un gruppo, ribellione contro leggi superate e anacronistiche, sgomento di fronte ai fatti, che, come le guerre, sconvolgono la vita dei popoli. Non so quando le mie commedie moriranno e non mi interessa. Ma l’importante è che siano nate vive. Il teatro muore quando si limita a raccontare fatti accaduti”.
Il viaggio di Servillo è intervallato dalla visione di alcuni momenti di “Filumena Marturano”, “Il Sindaco del Rione Sanità” e “Peppino Girella”, con il volto di Eduardo in primo piano, come una maschera nata per recitare. A dimostrazione di un’arte appresa fin da bambino. Perché, infatti, già a sei anni si troverà sulle orme del padre Eduardo Scarpetta. “Ho scritto per necessità –racconterà- e per pratica di palcoscenico. Mi hanno fatto copiare i copioni. Mi hanno messo a scrivere. Ho fatto scuola ricopiando commedie. Che vi credete? Così mi sono impadronito della tecnica ed ho imparato dagli errori degli altri”.
La bravura dell’attore è emersa nella descrizione di personaggi come Sik Sik, Antonio Barracano, Luca Cupiello, Peppino Girella, nel portare a galla il genio malinconico di Eduardo. “Spesso egli è più vicino a Checov che a Pirandello -ha rilevato Servillo- perché immette sulla scena una categoria antropologica.Per questo è stato apprezzato in tutto il mondo. Ha avuto la fortuna di aver conosciuto da vicino le tecniche ed i trucchi dl teatro, ma nello stesso tempo impiegherà un tempo e una fatica enormi per disfarsi di un’eredità ingombrante, quella scarpettiana.Deve spogliare Pulcinella.Togliersi la maschera”.
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