Il poeta racconta la sua vita in versi, le ansie e i desideri, l'incontro con Dio, i suoi approdi, il suo sguardo sul futuro. Cammina sul palcoscenico del Teatro Comunale di Benevento, attraversando i momenti più dolorosi, le tappe più belle. Ponendosi domande sull’esistenza. Come un attore, Nicola Sguera, presenta “Spes contra Spem”, la sua ultima raccolta di poesie, pubblicata con la “De Ferrari”, e con la quale ha vinto il Premio Letterario “Casinò di Sanremo-Antonio Semeria”.
“Si scrive tanta poesia -esordisce- ma se ne legge poca. Questa sera voglio che la forza della parola risuoni da sola. Mi accompagnerà un video con le immagini potenti di Annalisa Cervone, realizzato da mia figlia Caterina come regista. Ascolterete delle voci create con l’intelligenza artificiale. Questo libro lo dedico a mio padre come pegno di riconciliazione, perché non venga più a reclamare in sogno. Per dirgli che, malgrado tutto, gli voglio bene. Cerco di dare un contributo alla comprensione del nostro mondo”.
La riflessione di Sguera tocca a viso aperto il tema della morte, che spera sia "una meravigliosa avventura". “Morremo. D’improvviso -scrive nella poesia “A mors”- Sarà un male cullato nel grembo. Sarà un crollo, uno schianto. Inatteso, comunque. Molte cose lasceremo incompiute… E sempre parrà breve il transito terrestre. Ma altro c’attende”. Non c’è spazio per lo scoramento. “La speranza - rileva- è ultima e penultima, irrora ogni ambito della vita, dalle mie credenze ultraterrene alle sfide politiche”.
Il cuore del suo viaggio è il dialogo con Dio. “Dal mio residuo gnostico -fa notare- sgorgano queste domande: “Perché Dio hai creato il mondo? Perché hai creato tanta sofferenza? Ho scoperto, nella predicazione di un profeta contadino, quanto la “lieta novella” di un Dio che viene, per quanto procrastinata all’infinito, possa nutrire il nostro agire, che ogni fibra di me è cristiana”. Ma gli uomini, che avrebbero dovuto completare l’opera divina, si sono dimostrati “spietati”.
Il poeta è convinto che non ha “nessun senso la vita senza amore”, spera che, anche se “vedrò morire tutti i miei cari”, “sarà calore per loro il mio canto”. Nel libro, Nicola Sguera, docente di storia e filosofia al Liceo Classico “Giannone di Benevento”, dedica una poesia all’allievo Giulio, oggi studente universitario. “Il mio messaggio -spiega- è questo: nulla ci è dato senza grande fatica, il talento passa attraverso il rigore e la disciplina, cose che può e deve insegnare la scuola”.
Nell’ultima parte rivivono gli affetti più cari, la sua San Cumano. “Qui c’è il mio paradiso in sedicesimo -osserva- da giovane sognavo di vivere nel mondo selvaggio della mia fantasia, alla fine c’era sempre il ritorno a casa. Sono rimasto fedele al poco, al piccolo, all’uguale”. Il suo stile si è fatto più chiaro e luminoso. Con la “saggezza” acquisita negli anni, oggi vede “un placido lago in mezzo alla boscaglia”. “Continua a sognare nuovi inizi -esorta- accettati creatura imperfetta”.
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