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La Marcia della Fame nel Fortore, grido del Sud dimenticato - Pina Mansueto: "La lotta non è finita. Si vince stando insieme"
 

sab 28-09-2024 16:01 n.506, a.e.

La Marcia della Fame nel Fortore, grido del Sud dimenticato

Pina Mansueto: "La lotta non è finita. Si vince stando insieme"


“Ogni mattina le corriere partivano con i nostri uomini, padri, fratelli e a casa restavano le mogli che dovevano occuparsi della famiglia e della campagna. Si lavorava con la zappa, non c’erano i trattori. Per l’emigrazione i comuni del Fortore si erano dimezzati. Per questo il sindacato organizzò la “Marcia della Fame”, per andare a Roma, per portare in Parlamento, la protesta contro l’abbandono e la miseria”. Con queste parole accorate, Pina Mansueto spiega le ragioni di quel clamoroso evento.

Per ricordare quei giorni di lotta, la Cgil di Benevento ha promosso un incontro a San Bartolomeo in Galdo, che rientra nelle “celebrazioni” per gli ottant’anni del sindacato sannita. Per riflettere e riorganizzare un nuovo cammino, per costruire un futuro diverso per la Valle del Fortore. Quel movimento di contadini, braccianti, soprattutto donne, passato alla storia come “Marcia della Fame”, fece sentire la sua voce il 14 aprile del 1957. Era la “Domenica della Palme”. Il piccolo corteo partì alle cinque del mattino.

“La polizia era stata già allertata -continua Mansueto- fummo costretti a camminare per la montagna di Mazzocca. Arrivati a San Marco dei Cavoti ci fu una grossa carica, finanche nel cimitero, con manganellate e bastonate, vidi compagni insanguinati, che furono ricoverati in ospedale. A San Marco fummo ospitati dal sindaco comunista Camillo Maio, che ci rifocillò con una fetta di pane con un uovo sopra. Passata la notte, riprendemmo la marcia, ma fummo fermati a Pesco la Mazza e arrestati come criminali”.

I paesi del Fortore risposero con una manifestazione di solidarietà. La marcia era stata organizzata dai sindacalisti della Cgil, Amleto Forgione, marito di Pina, e da Pasquale Giantomaso. “Mio padre  - racconta commosso Salvatore Giantomaso- mi ha sempre parlato di questa protesta. Quando avvenne avevo tre anni. La marcia non andò a buon fine, ma scosse molte coscienze, aumentò l’entusiasmo e la fiducia nella lotta per i diritti dei più deboli e per la rinascita della valle. Mi riempie d’orgoglio”.

Nel Teatro Comunale di San Bartolomeo scorrono gli interventi, coordinati da Angelo Bosco. Per non disperdere la memoria. Perché l’esempio di quei lavoratori possa essere raccolto soprattutto dai giovani. Gli alunni della Scuola Superiore hanno partecipato in mattinata all’incontro. Per far conoscere la Marcia della Fame è stata allestita anche una mostra. “Qui -osserva Antonio Conte - non c’è alcuna retorica, né commemorazione nostalgica. Quei braccianti posero con forza il problema del pane quotidiano”.

Quella scintilla scoccata nel Sannio,  fece riaprire gli occhi sul Sud dimenticato. “Il Fortore -rileva Amerigo Ciervo- viveva in condizioni particolarmente disagiate, aveva perso in 20 anni più di diecimila abitanti. Dobbiamo sentire la responsabilità di prendere posizione e di impegnarci. E’ possibile scrivere un’altra storia per questi territori”. Ma c’è pessimismo. “Qui la speranza è morta -dice Raffaele Iannelli- se continua così con le nascite, nel 2040 il Fortore non esisterà più”.

Sulla stessa scia il giornalista Celestino Agostinelli. “Potrei fare copia e incolla dei miei articoli -afferma- non è cambiato assolutamente nulla. La marginalità è aumentata. San Bartolomeo non è mai arrivato a Benevento”. Quel sindaco di San Marco dei Cavoti che accolse i manifestanti fu sospeso dalla carica per tre mesi dal prefetto di Benevento. “Mio padre -fa notare Delia Maio- non è stato un eroe, ha  seguito i suoi ideali di giustizia, in cui aveva sempre creduto fin da giovane”.

I documenti dell’epoca parlano della marcia e degli scontri con la polizia. “Spicca la partecipazione delle donne -sottolinea Marisa Micco, ex archivista- anticipatrici del femminismo. Quelle poche centinaia di persone in cammino, come nel “Quarto Stato”, fecero tremare il potere, che le fermò, perché sarebbero state un esempio troppo pericoloso”. “In questi anni -conclude Mansueto- ci sono stati dei cambiamenti, ma la lotta non è finita. Dobbiamo andare avanti. Si può vincere solo stando insieme”.

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