 La desertificazione non è un destino. Il futuro delle Aree Interne è tutto da scrivere. Molto dipende dai progetti e dalle idee che si mettono in campo. Ce la faranno soprattutto quei territori che renderanno protagonisti i giovani, offrendo un “biglietto di ritorno” a quelli che vanno via. Per una nuova riflessione su questo tema dibattuto da tanti anni, la Diocesi di Benevento e l’Università del Sannio hanno preso spunto dal libro del docente Francesco Vespasiano, intitolato “La Questione delle Aree Interne”.
Nel Sannio e nell’Irpinia non c’è un “piccolo mondo antico” da difendere, ma ci sono valori e culture per vivere meglio. Le metropoli sono spesso alle prese con inquinamento e sovraffollamento. Le fascia costiera è segnata da un eccessivo urbanesimo. Un contesto sempre più critico dove le zone interne possono giocare un ruolo importante. “Per fare questo -rileva Vespasiano- bisogna rendere questi luoghi attrattivi, ospitali e cosmopoliti, creando opportunità di lavoro per i giovani”.
L’inversione di rotta può venire anche da una diversa narrazione. “Le Aree Interne -afferma Giuseppe Mazzafaro, vescovo di Cerreto Sannita- non sono preistoria, non sono il passato, ci indicano il futuro. Qui c’è un patrimonio che rischia di sparire. A che serve avere tante cose? Andiamo sulla luna e poi gli anziani muoiono da soli. Qui c’è una bellezza fragile. Servono servizi e infrastrutture. Lo spopolamento incalza. A Pietraroja ha chiuso l’ultimo bar. Ma si conserva intatto il senso di comunità”.
Nel dibattito, moderato dal giornalista Nico De Vincentiis, rimbalzano parole come resilienza e restanza. Ritorna con forza il ruolo dei giovani. “Bisogna aiutarli a creare lavoro -dice don Matteo Prodi- essi saranno i “nuovi santi”. Ma stamattina a parlare non c’è nessuno sotto i cinquant’anni. La bussola è sempre la Costituzione. L’Italia è fatta di province. Quando sono venuto qui ho letto “Città del Vino”. Cosa avete fatto per promuovere la falanghina nel mondo? Puntiamo su ambiente, migranti e pace”.
L’analisi allunga lo sguardo sulla politica. Il Sannio, ad esempio, ha avuto ministri, sottosegretari, europarlamentari, assessori a Santa Lucia, ma la programmazione regionale ha favorito sempre la fascia costiera. “Le zone interne -fa notare Roberto Costanzo- non sono parenti poveri da assistere, ma soggetti produttivi da riconoscere e compensare. Lo spopolamento affligge anche Napoli. I giovani del sud vanno nelle università del nord e non accade il contrario. Facciamo valere le nostre risorse”.
La parola “disuguaglianza” riaffiora prepotente e centrale. A rilanciarla è Carmine Nardone, che presenta “Il Manifesto per lo Sviluppo delle Aree Interne”, parla di riconversione di capannoni vuoti e cave dismesse in isole energetiche, di contrasto alle multinazionali, che si stanno accaparrando la terra. “La ricchezza -rileva Guido Tortorella Esposito- non genera per forza sviluppo. Manca un Patto Intergenerazionale. Il ragazzo che non si sente coinvolto e rappresentato si astiene o scappa via”.
Lo scossone dato dalla chiesa tiene accesi i riflettori. “Il nostro Forum -osserva Felice Accrocca, vescovo di Benevento- c’è stato sei anni fa. Prima non ne parlava nessuno. Serve un movimento di opinione dal basso, che spinga la politica a fare scelte diverse dal passato, cambiando l’ottica dello sviluppo, concentrando cioè le risorse più sulle periferie che sul centro”. Per il rettore Gerardo Canfora, i progetti nazionali, come quello della Snai, hanno dato scarsi risultati. Qualcosa si è mosso con le iniziative dell’università.
La questione è nell’agenda del governo. Non c’è tempo da perdere. Perché il 48 per cento dei comuni italiani ricade nelle aree interne, dove vive gran parte della popolazione. Solo 44 città hanno più di 100 mila abitanti. Le grandi metropoli sono in affanno. “Quanto può reggere -conclude Vespasiano- un simile sistema? Nei piccoli centri c’è gran parte della biodiversità e la ricchezza dei mestieri. Con i giovani partono anche i loro genitori. Lavoriamo su cosmopolitismo e radici”.

|