 Le nuove tecnologie possono aiutarci a individuare terapie dei tumori più precise e più personalizzate. Non dobbiamo avere paura dell’Intelligenza Artificiale, perché la direzione della ricerca resterà sempre nelle mani dell’uomo. Ma in questo nuovo scenario l’Italia sta giocando un ruolo marginale. Bisogna darsi una mossa per agganciare il treno del futuro. Questo il senso dell’intervento dello scienziato beneventano Antonio Iavarone, tenuto presso l’Università “Giustino Fortunato”.
“Sono a Miami, in Florida, da due anni -spiega lo studioso- sono vicedirettore del “Silvester Comprehensive Cancer Center”. Questa città vive un grande sviluppo, grazie a gruppi privati e persone facoltose che aiutano molto la ricerca. Il nostro centro dispone di un palazzo costato 350 milioni di dollari. Siamo fortunati ad avere notevoli supporti filantropici. La squadra di Football, Dolphins, ci dona ogni anno dai 30 ai 40 milioni di dollari. Non mi risulta che questo avvenga in Italia con le squadre di calcio”.
L’oncologo, che deve la sua fama alla cura dei tumori al cervello, illustra i vantaggi derivanti dall’uso dell’Intelligenza Artificiale, che offre nuove prospettive di analisi e studio. “Siamo di fronte -continua- ad una frontiera importante della ricerca, che non va vista isolata, ma integrata con altre branche scientifiche. I dati sono l’elemento fondamentale per cure più mirate. Gli Usa e la Cina stanno correndo, noi siamo quasi fermi. Ai giovani medici consiglio di andare all’estero”.
I richiami per i ritardi del nostro paese non sono nuovi. Il medico, costretto a lasciare la propria terra agli inizi degli anni novanta, fa parte della folta schiera dei “cervelli in fuga”. “Qui da noi gli scienziati validi si possono contare sulle dita di una mano -rileva con amarezza- e stanno molto tempo all’estero. L’Italia non ha mai voluto investire seriamente nella ricerca. Mancano grandi strutture in questo campo. Ricevo decine di richieste di malati, che, purtroppo, non possono accedere alle terapie più innovative”.
Con Iavarone hanno interloquito, tra gli altri, il rettore Giuseppe Acocella, il presidente dell’Ordine dei Medici, Luca Milano, il consigliere regionale Gino Abbate, coordinati dal giornalista Alfredo Salzano. La ricerca va avanti a grandi passi, ma la possibilità di sfruttare le opportunità che offre non è data a tutti. A questo punto la riflessione dello scienziato torna su quel progetto ideato quasi vent’anni fa, ai tempi di Carmine Nardone, presidente della provincia, e Pasquale Viespoli, sottosegretario al lavoro.
“Sembrò una Primavera beneventana -ricorda- quel centro chiamato Mib (Mediterranean Institute Biotechnology) che doveva nascere a Piano Cappelle e poi sfumato. Fu il più grande progetto di formazione mai realizzato da un governo italiano. Furono assegnate dodici borse di studio e i ricercatori vennero da noi negli Usa a formarsi. Ci furono incontri, articoli, studi di fattibilità. Quei giovani oggi hanno ruoli importanti in America e in Europa. Dovevano venire a lavorare a Benevento. Tutto finì nel disinteresse di tutti. Non vedo con chi si potrebbe riprendere il discorso”.

|